Prima parte delle conclusioni della relazione del 2010 in materia di violenza sulla donna (III Informe Anual del Observatorio Estatal de Violencia sobre la Mujer 2010) del Ministero della sanità, Politiche Sociale e Uguaglianza del governo di Spagna:
6 – Per concludere: sintesi e raccomandazioni
A) Considerazione generale
In pratica, secondo i fatti, la discussione sulla presunta Pas si è concentrata principalmente sugli aspetti della dinamica procedurale, sorpassando o lasciando in secondo piano il vero cuore della questione, che è di natura medica e quindi scientifica, anche se si è introdotto in maniera interessata all’interno dei sistemi giuridici e giudiziari.
B) Dal punto di vista scientifico (medico-psichiatrico)
La feconda indagine realizzata dal Dr. Escudero e dalle psicologhe Vaccaro e Naredo, riguardo il complicato costrutto fabbricato a suo tempo dallo statunitense Gardner, rivela il cumulo di spropositi che ostacolano anche il compito positivo di intraprendere una incursione analitica che faccia luce e chiarezza nell’oscura e intricata selva che lo statunitense si prodigò ad alimentare in una mistificazione inconcepibile della realtà, e quindi, della condizione umana.
È un incessante percorso ad ostacoli che, per sintetizzarla con un certo ordine, va dal disprezzo della diagnosi più certa e consolidata di coloro che, come Piaget, M. Klein, Hanna Freud, Ainsworth, Winnicott, Bowlby, Levobici, Ajuriaguerra, Diatkine, Anzieu, Erikson, Wigotski, Spitz, Wallon, Malher, … , e tagliamo qui la lista, ci aiutarono a stabilire il grosso di ciò che conosciamo di noi stessi attraverso della mente infantile, tutto un insieme insostituibile rispetto alla complessa conoscenza della psiche umana nell’ambito della ricerca clinica, che Gardner si permise di semplificare fino ad estremi indecenti con la torve finalità di avvalorare il suo insolito e stravagante diagnostico, fino a raggiungere effetti dogmatici e l’inflessibile irreversibilità della presunta Pas. La mutazione che sperimentò la stessa applicazione della “sindrome”, nel momento in cui si trasformò in una presunta Pas istituzionale e infine, l’inerzia di un automatismo sorto nella pratica, dal meccanismo di incatenare sequenzialmente la presunta “purezza della sindrome” alla “durevolezza del diagnostico” e alla “terapia della minaccia”, come mostreremo più avanti.
a) È data per valida l’esistenza di una sindrome puramente teorica e speculativa, fondata su meccanismi psichici e di reazioni carenti di certezza del suo significato, per giustificare in base agli stessi vere e proprie misure punitive (sia per il genitore affidatario, generalmente la madre, quanto per il figlio sotto la sua custodia), misure che si nascondono sotto l’apparenza di un trattamento correttivo però in verità privo di efficacia terapeutica, basandosi come premessa della presunta Pas il presupposto che il genitore non affidatario è rifiutato per mera ostilità e senza motivo giustificato, secondo il pregiudizio di considerare per principio la persona idonea a svolgere la custodia.
b) Una volta stabilita l’indole patologica del rifiuto del genitore non affidatario, il genitore affidatario (generalmente la madre) rimane segnato dalla stigmate della diagnosi clinica, con tutte le conseguenze che ciò comporta nell’ambito della causa, in base alla affermata nocività al bene del minore, inclusa la sempre questionabile aspettativa di ricorre alla perizia.
c) Il punto decisivo per comprendere il costrutto della presunta Pas si trova nel vincolo indissolubile che si stabilisce tra l’affermazione della Pas come sindrome pura (insieme sintomatologico unidirezionale, e pertanto univoco) con la “terapia della minaccia”, intesa come l’unica misura correttiva dell’artificio costruito con l’obiettivo “di curare”. L’artificio consiste nel percorso puramente interpretativo di stabilire che i segni identificati durante la valutazione trovano spiegazione solo nell’essere orientati a manipolare la prole contro il genitore non affidatario come un obiettivo prestabilito, dal quale consegue, senza alcuna implicazione intellettuale, l’assioma che l’indottrinamento implica necessariamente per essere effettivo il cambio di custodia mediante l’appoggi terapeutico della minaccia. In questo modo si stabilisce in maniera “logica” il trinomio di questo ingranaggio: purezza della sindrome – durevolezza della diagnosi – terapia della minaccia, con il carattere di una struttura dal legame indissolubile.
d) Questo trinomio ottiene nel processo giudiziale la consistenza e la rotondità di una sentenza, permettendo che la presunta sindrome dispieghi completamente i suoi effetti.
e) Poiché, nonostante siano stati ridotti e quasi eliminati negli ultimi anni i valori androcentrici che invadevano i processi giuridici, questa mentalità continua ancora ad influenzare le valutazioni degli operatori e, naturalmente, le “convinzioni di genere” sono completamente radicate nelle diagnosi di presunta Pas; un tale vincolo, che piaccia o no, può convertire, nella pratica, la decisione del giudice in un deterrente per le vittime di violenza di genere nei processi di separazione, inducendo alla mediazione con la parte aggressiva, causando come alternativa alla denuncia della violenza il ritiro della stessa per paura che la denuncia passo per un altro sintomo della presunta Pas. Dinamica circolare in tutta la sua dimensione.
f ) La forza operativa della presunta Pas è che una volta anteposto al costrutto il termine “sindrome”, la conseguenza porta all’incriminazione del fattore patologico nel binomio genitore – figlio alienati, e quindi la giustificazione per il cambiamento di affidamento come l’unica terapia appropriata nel rapporto familiare in questione.
Questa breve sintesi della classificazione fatta dal Dott. Escudero lascia aperta la risposta alla seguente domanda: a cosa si deve l’utilizzo dell’utilizzo della presunta Pas nella magistratura, nonostante la mancanza monumentale di scientificità che si trascina la presunta sindrome? Quali forze, motivi o circostanze sostengono l’incolumità della presunta Pas essendo carente della minima base scientifica per sostenerne la teoria: la mera “apparenza logica” nel suo percorso, la tentazione dei professionisti del settore ad aprire nuovi campi di specializzazione; o forse, in concomitanza con tali attrattive, la pressione dimostrata da alcuni gruppi di persone attivamente interessate a mantenere l’invenzione della presunta Pas come un mezzo efficace per lottare contro l’istituzione della parità tra i sessi, di cui sono protagoniste le donne nella nostra società?
Lasciamo la risposta più adeguata alla perspicacia e al riscontro empirico di tutti.
Dallo studio realizzato sulle questioni che riguardano la psichiatria e la psicologia sono tratte le seguenti conclusioni:
Tenendo presente che la natura “terapeutica” della “Terapia della Minaccia”, è argomentata dal suo creatore, richiamando esplicitamente alla sua autorevolezza ed esperienza. L’inquadramento della presunta Pas all’interno del sistema giuridico ha importanti ripercussioni nel nostro paese:
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La presunta Pas non ha rivelato nessuna capacità di distinguere tra gli abusi e i maltrattamenti veri e quelli falsi;
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Il rischio del cambio di custodia di fronte ad una possibile diagnosi di presunta Pas, specialmente con vittime di violenza di genere, o la richiesta di visite e custodia condivisa contempla un’eventuale doppia finalità, dissuadere la donna dal denunciare sospetti od evidenze di maltrattamenti ed abusi sui figli di fronte alla possibilità di perdere la custodia degli stessi e anche nel caso di affidamento condiviso, continuare ad essere sottomessa ad un controllo della sua vita e della sua persona come sta succedendo nella maggior parte dei casi che si trovano nelle circostanze descritte precedentemente.
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La struttura della presunta Pas non permette di stabilire i danni psicologici su adulii e bambini. Inoltre: la costante osservazione del bambino e del genitore a cui è diagnosticata la presunta Pas minaccia la spontaneità del legame. Questa è la conseguenza della presunta Pas che considera il vincolo “patologico”. La fiducia dei bambini di essere protetti dagli adulti risulta danneggiata. Nelle madri che abbiamo intervistato, vediamo gli effetti nocivi che generano la rottura della logica, fondamentalmente per l’azione della diagnosi differenziale, che determina che, tutto quello che si dice, si affermi o si attui, è considrato sintomo, e conferma costante della propria malattia.
Chiuso all’esterno e semplificato a dismisura, la presunta Pas pretende essere autosufficiente per diagnosticare e curare. Le relazioni dei professionisti ufficiali che si considerano indipendenti e obiettivi sono realizzati secondo la logica interna della presunta Pas. Il sistema si chiude anche davanti l’etica, e così, l’applicazione che si sta realizzando nel nostro paese, in modo simile a come accadde nel suo paese di origine, attraverso misure terapeutiche derivate dalla presunta Pas, senza nessuna consistenza scientifica previa, costituiscono una eccezione bioeticamente inammissibile. Nella Dichiarazione approvata dall’Assemblea Generale dell’Associazione Mondiale di Psichiatria (AMP) celebrata a Madrid il 25 agosto del 1996, si esplicitava: «Una ricerca che non concorda con i canoni della scienza non è etica. I progetti di ricerca devono essere approvati da un comitato etico debitamente costituito. Gli psichiatri devono seguire le norme nazionali e internazionali per condurre ricerche (…)».
Alla fine, questo lavoro, non risponde alla domanda iniziale: Perché, mentre l’assenza di conferme empiriche avrebbe potuto aver concluso il dibattito sulla validità o no della presunta Pas (almeno aver paralizzato l’uso delle sue misure fino all’apporto delle evidenze), la stessa continua e con lei, una cosa impensabile nell’ambito clinico, la sua applicazione come terapia? Forse, come risposta parziale, abbiamo evidenziato che la presunta Pas sembri essere sostenuta da una (presunta) evidenza “logica”. Esistono gruppi di pressione costituiti per forzare l’inclusione della presunta “Pas”, non dentro la scienza, dentro il futuro manuale di classificazione dei disturbi mentali, il DSM-V, con l’obiettivo di guadagnare credibilità nei tribunali. Probabilmente l’apertura di nuovi campi per lo sviluppo professionale è anch’esso un incentivo.
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